Guida all'acquisto di Auto Aziendali

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Written on 01:59 by Maw Agency

Le auto aziendali o company car sono un ottimo esempio del fruttuoso rapporto che lega il mondo del lavoro al mondo dell’automobile.

Molte aziende, non importa di quale dimensione siano, o quale fatturato abbiano, mettono a disposizione della propria attività e quindi dei propri operatori delle automobili, da usare con finalità interna.

Queste auto aziendali vanno a costituire quello che in gergo viene detto flotta aziendale o parco auto aziendale, complesso di automobili soggette a norme particolari circa la loro definizione giuridica, la gestione dei ricambi, delle riparazioni, dell’Iva, e così via.

Ciò non esclude che a volte le auto aziendali siano poi lasciate in uso anche privato ai dipendenti, assumendo così statuto di fringe benefit, cioè di beneficio ulteriore rispetto alla normale base di categoria e sancito da contratto, che l’azienda estende ai lavoratori che ne abbiano i requisiti; essi sono riconosciuti ufficialmente dal 1997 grazie a un apposito decreto legislativo.
Costruire una flotta aziendale

I modi che un’azienda ha per acquisire un’automobile sono diversi, legati alle diverse necessità e possibilità dell’azienda stessa.

ACQUISTO vero e proprio. Se l’impresa dispone della giusta liquidità, può acquistare auto aziendali in contanti o con un pagamento rateale. Questo modo è vantaggioso perché permette di entrare in possesso di un bene, ma con i pro e i contro che ciò comporta, come il pagamento immediato dell’intera Iva e le fluttuazioni di mercato relative al valore del bene stesso. Inoltre, e non è poco, spettano alla società tutte le pratiche burocratiche e la manutenzione del veicolo.

LEASING. Questa formula consente di conservare una proprietà sulle auto aziendali grazie alla quota di riscatto finale, e di dilazionare il pagamento, detraendo man mano le quote di leasing dalle imposte. Tuttavia, tra gli altri svantaggi c’è quello di doversi accollare tutte le spese di manutenzione e amministrazione burocratica relative.

Il leasing è una modalità di acquisto rateale che si è rivelata vincente in generale come modalità di acquisto non impegnativa per qualsiasi settore di mercato.
La differenza rispetto a un semplice pagamento rateale consiste nel fatto che le rate si pagano non per comprare il bene, ma per usarlo per un certo tempo.
Il bene in questione non è di proprietà di chi paga fino a quando questo non si decide a riscattarlo con un saldo finale, ma ciò può anche non avvenire e il bene resta di proprietà di chi ha concesso il leasing.

NOLEGGIO. Si tratta in realtà di un noleggio a lungo termine (nlt o full leasing), ed è oggi la pratica più vantaggiosa, perché, pur comportando una spesa senza possibilità di proprietà alla risoluzione del contratto, permette all’azienda di esternalizzare qualsiasi onere inerente alle auto aziendali, quindi di non perdere tempo e soldi ad occuparsi di burocrazia e manutenzione (gestione in outsourcing della mobilità aziendale).
L’azienda sceglie il noleggiatore tramite il fleet administrator (un esperto di noleggio a lungo termine) e stabilisce quindi le condizioni contrattuali migliori; tuttavia, dal momento che non si tratta di un contratto tipico, ma di un libero accordo ufficiale tra due parti, grossi problemi possono sorgere da eventuali malintesi o fraintendimenti circa le varie clausole, specialmente quelle riguardanti lo stato dell’auto a fine noleggio.
Un altro svantaggio considerevole è legato ai tempi di consegna, che possono essere davvero lunghi se il noleggiatore è a corto di automobili perché tutte noleggiate. L’azienda leader nel settore del noleggio a lungo termine è oggi LeasePlan, società olandese nata nel 1963, dotata di filiali in tutto il mondo e oggi in grado di garantire la maggiore affidabilità e serietà in materia di gestione delle auto aziendali.

Quando si parla di gestione esterna delle risorse in generale e di gestione amministrativa della flotta aziendale in particolare vengono utilizzati i termini inglesi outsourcing e admistrative fleet management.
Costituiscono un metodo molto utile all’impresa per occuparsi al meglio, cioè con il massimo di efficienza e il minimo di sprechi ed errori, delle proprie auto aziendali: il trucco sta nell’affidarsi a un esperto esterno, che controllerà ogni aspetto, dalla burocrazia ai prezzi dei fornitori di ricambi.


Usare l'Auto Aziendale
L’obiettivo primario delle auto aziendali è certamente quello di servire la mobilità aziendale e non quella personale, però, come si è anticipato, spesso accade che poi il dipendente usufruisca dei benefici dell’auto aziendale nella sfera privata.
A questo punto dipendente e azienda devono venirsi incontro per stabilire diritti e doveri di questo utilizzo, onde evitare spiacevoli inconvenienti.

Innanzitutto quindi la società che elargisce il beneficio stabilisce un regolamento, detto car policy, molto rigoroso, circa il corretto utilizzo delle sue vetture. Questo fissa, per esempio, che alla guida possa stare esclusivamente la persona incaricata dall’azienda, o un’altra solo se fornita di apposita delega (l’assegnatario).

Ora, per sintetizzare, una società ha due modi per rendere disponibili le auto aziendali.

USO PERSONALE. A dipendente corrisponde una vettura.

L’interessato deve pagare una quota di leasing, poiché di fatto è di leasing che sta usufruendo, o direttamente alla ditta se questa è proprietaria del veicolo, o alla ditta perché a sua volta paghi le rate del leasing in caso diverso.

L’azienda mette a disposizione auto aziendali che il più delle volte hanno requisiti minimi funzionali all’uso di cui necessita. Si è visto che il più delle volte le auto aziendali appartengono ai segmenti C, D ed E del mercato dell’auto, rispettivamente medie, medie superiori e superiori, in corrispondenza del loro principale utilizzo: trasporto di merci in piccola quantità, spostamenti più o meno lunghi, rappresentanza. Tuttavia il beneficiario può richiedere una macchina di categoria superiore o maggiormente accessoriata rispetto a quella fornita dall’azienda: la differenza di classe da pagare è detta upgrading.

Può accadere poi che le auto aziendali in dotazione al singolo dipendente siano più d’una, come forma di gratificazione ulteriore o perché l’azienda ne trae una convenienza fiscale: per la seconda macchina il dipendente è tenuto a pagare un contributo, sempre consistente in una quota di leasing, come se stesse “prendendo in affitto” l’auto.

CAR SHARING. Condivisone di utilizzo, multiproprietà.
Si tratta di una nuova modalità di gestione del parco auto aziendale, con cui non si vincola più una persona a un’automobile, bensì si offre la possibilità di prenotare il veicolo secondo le esigenze dell’interessato.
Anche qui le automobili vengono gestite esternamente e centralmente, in modo tale da non far sovrapporre mai le richieste e organizzarle al meglio, e sono custodite in garage specifici siti in punti strategici per l’attività lavorativa.

Per entrare nella multiproprietà bisogna sottoscrivere una quota di partecipazione. Solo così si ha l’accesso al diritto di prenotazione.

Il grande vantaggio è che si paga solamente il singolo utilizzo, quindi i costi effettivi.

Vediamo ora altri punti interessanti per chi usufruisce della flotta aziendale.

FUEL CARD. Si tratta di una novità recente (2004): l’azienda, per evitare noie legate alle procedure di rimborso e alla modalità di pagamento del carburante, nonché per ottenere maggiore trasparenza dall’utente delle auto aziendali, mette a disposizione del dipendente una specie di bancomat specifico con cui soddisfare ogni esigenza (la carta carburante, appunto). Questa carta è emessa direttamente dalle compagnie petrolifere.

INCIDENTI STRADALI. Settore un po’ delicato e giuridicamente molto complesso. Contando che molte volte gli incidenti in cui occorrono le auto aziendali sono poco rilevanti, perché legati soprattutto a contesti urbani, il dipendente può stare relativamente tranquillo a fronte di una valida copertura assicurativa e di trasparenza verso il noleggiatore in caso l’auto sia noleggiata. Se l’incidente non è grave, l’importante è ottenere assistenza immediata e un’auto sostitutiva (courtesy car) in tempi brevi per proseguire l’attività lavorativa; se tutto è eseguito correttamente, i danni vengono generalmente pagati dall’azienda.

MULTE. Devono essere pagate da chi ha infranto il codice della strada. L’azienda infatti si incarica di tale pagamento solo quando non è in grado di identificare il guidatore; all’imputato viene lasciato del tempo per poter contestare la multa o dimostrare di non essere stato lui alla guida al momento dell’infrazione, altrimenti deve procedere con il pagamento, che avviene normalmente con detrazione dallo stipendio. Va da sé che, quando si tratta di dipendenti di alto livello o di contestazioni, l’azienda chiude un occhio e si accolla la spesa.

PATENTE A PUNTI. Anche riguardo a questo aspetto vale la regola vigente per le multe: il guidatore riconosciuto colpevole di infrazione subirà anche sottrazione di punti dalla sua patente conformemente all’entità della violazione. Questo avviene solo in caso di certezza assoluta circa l’identità della persona imputata; infatti, se l’azienda non comunica entro 30 giorni alla Polizia tale identità, o se non è in grado di determinarla, deve pagare una multa oscillante tra i 343,35 e i 1376,55 euro.

Comunque, è bene che l’azienda fissi bene fin dall’inizio le proprie regole, così da non lasciare nessun margine di dubbio nelle situazioni concrete di multe, incidenti e punti della patente.


Trattamento Fiscale
Non vogliamo addentrarci qui nello specifico del trattamento fiscale riservato alle imprese in materia di auto aziendali, solo ricordare che le condizioni variano molto a seconda che si tratti di auto in proprietà, in leasing o a noleggio a lungo termine.

Brevemente, però, dobbiamo dire che l’Italia è oggi al centro di una forte polemica, avanzata dagli interessati di categoria, perché il sistema fiscale italiano è particolarmente rigido e oppressivo riguardo alle auto aziendali, soprattutto considerando la media degli altri paesi europei: questo sistema ha dirette conseguenze sul già critico mercato dell’auto in generale, perché i costi fiscali limitano fortemente la possibilità di acquisto da parte delle aziende.

In particolare, il problema riguarda la deducibilità delle spese vive di utilizzo e l’IVA sull’acquisto di auto aziendali.
Nel nostro paese infatti le spese di acquisto e manutenzione delle auto aziendali non sono deducibili dalla base imponibile, così come non è detraibile l’Iva che si paga per l’acquisto del bene automobile, o lo è per una percentuale molto limitata; l’ammortamento di questa spesa è inoltre molto limitato.
Questo significa che un’azienda subisce lo stesso trattamento, in caso di acquisto di automobili, di un privato cittadino e non ha accesso a nessun vantaggio fiscale.

Contrariamente, la media europea è molto più vantaggiosa per le aziende, in misura diversa secondo i vari paesi dell’Unione, ma sensibilmente migliore rispetto all’Italia; perciò è da parecchi anni che le imprese e le associazioni interessate si lamentano contro questa politica fiscale del governo.

C’è però da spezzare una lancia a favore di quest’ultimo.
Infatti la politica restrittiva in materia di auto aziendali è motivata dalla necessità dello stato di sapere che un’automobile venga comprata per effettive motivazioni lavorative, altrimenti qualunque proprietario di azienda potrebbe comprarsi un’auto con il pretesto di usarla per lavoro e poi sfruttarla solo nella sfera privata senza pagare le tasse dovute secondo il nostro sistema.
L’unico modo per avere agevolazioni fiscali nell’acquisto di auto aziendali è di immatricolarle come autocarri, dimostrandone pertanto l’esclusivo uso lavorativo.
E’ possibile dunque che chiunque, proprietario o dipendente di un’azienda, acquisti un’auto anche più bella, per così dire, come un fuoristrada o un suv, purché il suo utilizzo si limiti ai sedili anteriori.
Attenzione, però, perché non rispettare poi questa dicitura comporta serie complicazioni in caso di controllo della polizia!

Detto questo, il contenzioso tra governo e controparte ha ragione d’essere in virtù dello scarto che sussiste tra la normativa europea che regola l’Iva in materia di auto aziendali e la legge italiana relativa.
Precisiamo che la normativa europea è tassativa solo nel caso in cui riguardi un’imposta nata dopo la normativa europea stessa, e l’Iva è stata istituita proprio un anno dopo, nel 1979, quindi a rigore deve essere soggetta a quella.

Sono state sì previste delle eccezioni contingenti, ma ormai è da troppo tempo che il nostro sistema fiscale vi si appella, e gli interessati, che richiedono sempre più pressantemente un adeguamento alla media europea, si stanno già organizzando, sicuri di spuntarla e disposti ad appellarsi, se necessario, alla Corte di Giustizia europea lussemburghese, l’unica in grado di dare risposte definitive circa disposizioni europee: se lo stato non prenderà provvedimenti, molto probabilmente dovrà dare seguito alle richieste, aprendo una nuova era di gestione dell’Iva e forse pagando rimborsi massicci.

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